Tuesday, February 14, 2017

Moonlight II

Sono quasi quattro ore di macchina da Philadelphia alla distesa di alberi della Rothrock State Forest. E' partito all'alba, con la berlina della signora Chang. Una vecchia auto affidabile, che si trascina attraverso la foschia dell'inverno, la neve ancora depositata in parte sui campi e sulle distese di territorio della Pennsylvania. Ha imparato a memoria la strada che dalla statale principale si stacca sulla sinistra e si perde all'interno del bosco. Bisogna guidare almeno tre miglia sulla strada sterrata, prima di arrivare ad un'altra svolta. La via diventa quasi invisibile, deve guidare la berlina a passo d'uomo per non distruggere le sospensioni, prima che la sagoma solitaria di una casa in legno sepolta nel bosco di pini faccia capolino. Non è un casa grande. Ha una veranda, con una piccola altalena caracollante, la porta doppia con la zanzariera interna per le estati calde, il camino che fuma ora che in inverno è coperta di neve. Un ceppo con un'ascia che testimonia il fatto che qualcuno accende la stufa. E' anche consapevole che quel qualcuno lo ha visto arrivare. Forse lo teneva d'occhio con il binocolo da miglia di distanza. Sa che non ha riconosciuto l'auto e che la ragione per cui la porta non si è ancora aperta è che dietro una tenda, dietro ad una finestra, Tom aspetta con il fucile puntato che lui apra la portiera. E' la ragione per cui spegne il motore con cautela, prima di far scattare la porta dal lato del guidatore e fare capolino con le mani alzate bene, in vista. Si fa riconoscere, senza avanzare. Come aveva previsto, passano una decina di secondi, prima che la porta della casetta di legno si spalanchi e la sagoma solida, imperiosa e dura del vecchio Tom faccia capolino sulla soglia con un fucile da caccia tra le braccia, la canna puntata verso il terreno. Ha i capelli lunghi e grigi, il volto solcato dai segni del tempo. Per un paio di istanti, rimangono a fissarsi a distanza.
"Cristo. Stavo per piantarti un proiettile in mezzo agli occhi. Che macchina di merda hai preso?"


L'interno della casa di Tom è spartano come si potrebbe aspettarsi da un uomo come lui, ma inaspettatamente pieno di oggetti. Affastellati, impolverati. Fucili da caccia, teste di cervo, trofei, coperte fatte a mano forse dalla sua compagna prima che morisse. Era una donna nativa, di sangue Shawnee. Libri, la maggior parte in condizioni pietose. Selle di cavallo, ciotole di metallo e pentolini ammassati sulla piccola cucina a gas. E' la casa di un uomo solo per scelta e per destino. Il bollitore fischia. Tom mette una ciotola a terra. Due cani si avventano a divorarne il contenuto, avanzi di carne cruda. Sono entrambi cani muscolosi e poco avvezzi alla dolcezza, probabilmente dei meticci ma con qualche tratto da Rottweiler. Ross li guarda mangiare, mentre Tom versa del caffè color pece in due tazze sul tavolo di legno spesso.
"Sei venuto a salutarmi prima della fine del mondo?" Tom va dritto al punto, con un ghigno brutale e divertito.
"Qualcosa del genere."
"Il mondo è stato sull'orlo della fine da quando è stato creato. E' una vertigine a cui finisci con l'abituarti facendo questo lavoro."
Gli ricorda qualcosa di simile che gli ha detto Connor. Ma Tom non ha perso il senso di gravità. Nel volto dell'uomo si riesce a vedere un fuoco stanco e feroce, come se si preparasse alla guerra ogni mattina, anche ora che vive come un eremita. Per un istante, si ritrova a chiedersi se avrà gli stessi segni, da vecchio. Sempre che ci arrivi.
"Non sembri agitato."
"Nemmeno tu." Tom sogghigna, fissandolo e allungandogli la tazza. C'è una pausa di silenzio, prima che prosegua. "..Nah. Non ho niente da perdere in ogni caso. Ora mi preoccupo solo della mia casa, dei miei cani e del mio cavallo."
Il caffè è corretto con del whisky. Per qualche ragione non se ne stupisce. Lo apprezza, anche se non è ancora ora di pranzo. Il vecchio lo guarda con gli occhi di chi non ha davvero bisogno di sapere come mai se lo è trovato in casa.
"I ragazzi come la stanno prendendo?" Gli chiede. Austin, Iphigenia.
"Effie non ha paura di nulla. E' ottimista o smidollata, forse entrambe. Austin è arrabbiato e finge di essere un uomo." La risposta strappa a Tom una risata pacata, lieve, cruda.
"Sono gli ormoni. A diciotto anni fingevamo tutti di essere uomini."
"Credo di avergli spezzato il cuore."
"Meglio. Fa bene. Lo fa crescere. Meglio che glielo spezzi tu e che glielo spezzi spesso, piuttosto che se lo faccia spezzare da qualche stronzata priva di valore. Mio padre mi ha spezzato il cuore cosí spesso che l'ho odiato per vent'anni, prima di capire perchè lo faceva. Me lo spezzava a cinghiate."
"Non sono suo padre. Non lo sono mai stato."
"Non che abbia scelta. Non ha nessun altro." 
Le verità di Tom sono come il cuoio indurito. Prive di compromessi e di grigi. Sono assolute. I cani si scuotono e si leccano i baffi, prima di sgattaiolare ai suoi piedi e lasciarsi cadere a terra con la devozione delle bestie selvatiche.
"Com'è che non usi mai l'istinto?" Chiede di colpo l'uomo. Sulle prime rimane interdetto, non riesce a fare nulla se non fissarlo in silenzio. Tom lo fissa come se volesse tirargli fuori qualcosa dalla bocca a mani nude.
"L'istinto. Usi sempre quella cazzo di testa. Sei davvero un mistico di merda."
"Sono un medico." Ribadisce, come se fosse una spiegazione. 
Una risposta che sembra dare sui nervi a Tom perchè sputacchia uno sbuffo ironico e ringhia. "Ah!" Un verso di sprezzo, prima di piegarsi col busto verso di lui.
"Sei un fottuto demone. Smettila di rimanere dentro la tua testa tutto il tempo e prova ad ascoltare la pancia ogni tanto. Hai guidato quattro ore per venire a berti un caffè e chiedermi se sono preoccupato per la fine del mondo? Non lo sono. Contento? Puoi anche risalire in macchina e tornartene da dove sei venuto. Ma non sei qui per questo. Sei venuto perchè stai iniziando a capire come stanno davvero le cose e ti fa paura. Hai bisogno di un vecchio umano alcolista che vive in mezzo ad un bosco per dirti che ti conviene iniziare ad essere onesto con te stesso se vuoi davvero fare una qualche differenza. Hai talento, Ross. Usalo. Per quando avrai finito avrai tanto di quel sangue sulle mani che se usi troppo la testa, la perderai. Fallo solo quando serve davvero."
Rimane in silenzio a fissarlo. Riesce a deglutire un bolo di saliva ed è costretto ad ingoiare del caffè, ma la fronte si contrae. Sente gli occhi piccoli e scuri di Tom, come quelli dei cani, passargli attraverso il petto. Distoglie lo sguardo, si sente di colpo vulnerabile.
"Che cosa c'è, Ross?"
"Niente."
"Che cosa c'è?"
"Niente."
"Bullshits. Non hai paura per l'apocalisse. Hai paura per qualcos'altro. Cos'è?"
C'è un lungo silenzio. Lo fissa negli occhi. Tom sulle prime rimane sospeso, in attesa. Poi le labbra si distendono in un sogghigno amaro. Sempre più evidente, fino a che non diventa una risata bassa, gorgogliata e cruda. Scuote la testa, portando la tazza alla bocca.
"Ti sei fatto incastrare?" Lo dice usando le parole che si usano per parlare della polizia. Della prigione, dei nemici, quando ti catturano per giustiziarti, ma lui capisce cosa intende. E' a disagio e non riesce a negare.
"E' l'errore peggiore che uno come noi possa fare. Ma forse ti salva la vita. E' maggiorenne?"
"Vaffanculo, Tom." Una pausa. "E' Navajo. In parte." Non lo sa come mai sceglie di colpirlo sul vivo. Di affondare dove fa male, ma lo vede assorbire il colpo con il sogghigno che si fa più triste e dolce, scostando gli occhi. Lo vede masticare in silenzio l'onta di essersi fatto trovare con la guardia abbassata.
"Allora sei fottuto. Quelli della loro gente ti tengono per le palle. Non riesci più a fare a meno di loro." Lo borbotta a voce bassa.
Da qualche parte, sepolta in quella casa, c'è una vecchia foto della donna che gli ha toccato il cuore e ha finito col dannargli l'anima.


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